Dopo i discorsi su H&M e le piume, Monica mi ha chiesto un post su dove acquistare marchi sostenibili.
Purtroppo, fare shopping consapevole non è facile come entrare da Zara.
Innanzitutto perché sotto la dicitura “moda etica” si raggruppa di tutto un po’: dalle calzature leather-free all’abbigliamento riciclato, dalle collezioni a impatto zero a quelle prodotte da cooperative che si occupano di recupero sociale.
Senza dimenticare, ovviamente, i brand di lusso che cavalcano l’onda eco-friendly come Stella McCartney e Edun.
È evidente: non esiste una soluzione bella pronta.
Per me si tratta semplicemente di una questione di buon senso.
Per spiegarmi meglio, ecco qualche esempio di quelli che io considero acquisti etici.
1. Il piccolo marchio Italiano
Qui l’esempio mi esce al volo, perché come molti sanno io sono veneta, e in Veneto Lazzari è un’istituzione.
Lazzari, di San Bonifacio, Verona, disegna e produce collezioni modaiole ma sempre bon ton, che hanno un price-point medio e una qualità molto buona.
Le presenta con con gusto, e le vende, nei cinque negozi che ha aperto in Veneto oltre che in un frequentato online store.
Lazzari è quella cosa per cui l’Italia è famosa nel mondo.
Il prodotto realizzato BENE.
Loro, però sono stati bravi anche in altro.
Hanno negozi deliziosi.
I loro lookbook spaccano.
Sono stati capaci – e dio gliene renda merito – di fare un’ecommerce che funziona, e di costruirsi un’online reputation.
Per tutte queste ragioni, quando compro da Lazzari mi sento la Madre Teresa del Made In Italy.
Li amo.
Sono bravi.
Sono contenta di dargli i miei soldi: io voglio comprare in negozi come questi.
Abbiamo un sacco di alternative: siamo la patria delle eccellenze mica per niente.
2. Gli atelier artigiani
Qualche anno fa, ho comprato dei pantaloni alla presentazione di un’amica.
Li ha creati lei, scegliendo un fresco di lana in principe di galles e tagliando un perfetto rettangolo nel tessuto, che si ripiega e si abbottona, per creare un pantalone.
(Lo so, non si capisce: è impossibile spiegarlo a parole.)
Comunque, a dire il vero, questi pantaloni li ho acquistati in maniera un po’ casuale, perché volevo far piacere alla mia amica piuttosto che perché mi convincessero sul serio.
E se ben ricordo, non li ho neppure pagati poco.
Oggi vi dico: li ho pagati il giusto. Anzi, forse troppo poco.
Li comprerei di nuovo mille volte, perché sono diventati uno dei pilastri del mio guardaroba invernale.
Li amo.
Se fossi un pantalone vorrei essere quello lì.
God Bless la Paulie.
3. La dress agency
A volte, comprare non serve.
Lo scambio è una grande risorsa se ti succede quel che capita a me:
sono piena di vestiti, eppure non ne ho mai abbastanza.
La dress agency è la soluzione.
Per esempio: pochi giorni fa ho portato degli abiti che non mi andavano più da Bivio, e sono tornata a casa con uno smoking che mi sta a pennello e con una giacchina di Albino che “cappuccetto rosso, spostate“.
In tutto questo non ho aperto il portafogli: gli abiti consegnati mi sono valsi un buono acquisto, ed io l’ho subito messo a buon uso.
(L’ho fatto perché era una scelta eco, sia chiaro.)
4. Il vintage
Il fatto che il vintage riduca lo spreco è per me un (simpatico) effetto collaterale.
Ci sono centordicimila ottime ragioni per acquistare vintage.
A me piace il fatto che si tratti di abiti fatti per durare – quindi spesso di qualità eccellente.
Amo la cura nei dettagli.
Apprezzo l’unicità di ogni capo, che oggi è sacrificata alla velocità della produzione in serie.
Poi adoro il brivido della caccia.
Mi piace che ci sia un rapporto qualità/prezzo realistico (fatti salvi i capi da collezione).
E poi, c’è un guilty pleasure. Le pellicce sono favolose.
Le bestie (che io amo, sia chiaro) sono morte da mezzo secolo, e sarò sincera: io mi sento la coscienza pulita.
Questo articolo ha 3 commenti
Lazzari è adorabile, è da un pezzo che voglio dedicargli un post.
Bivio non lo conoscevo e ovviamente buono a sapersi.
Riguardo alle pellicce non le ho mai indossate non perché non mi piacciano ma per i tuoi stessi motivi. A questo proposito però ho sempre avuto il dilemma circa le pellicce vecchie e stravecchie.
Per esempio la mia adorata nonna mi ha donato la sua pelliccia anni 50 già tanti anni fa ma nel dubbio non l’ho mai indossata anche se ho sempre pensato che in questi casi la coscienza dovrebbe essere a posto. Senza considerare che buttarle via mi sembra un grandissimo spreco e se vogliamo anche un’offesa per il povero animale. Boh, io nel dubbio la tengo in armadio ma mi sa che inizierò a riconsiderare la faccenda.
A presto
Alessia
Comunque, sempre a proposito di pellicce e animalismo:
francamente trovo meno grave farsi una giacca di visone che mangiare carne.
I mean: un pollo dura una sera, un visone dura tutta la vita.
Ciao! Ti segnalo anche un piccolo marchio di moda etica e responsabile che seguo da un pò: i capi e gli accessori sono realizzati da piccoli laboratori sartoriali e artigiani sia in Italia che in India, Bangladesh, Vietnam. L’ultima collezione è tutta in cotone bio ed è ispirata a Tina Modotti e Frida Kahlo http://www.tramedistorie.it/