Una delle più grandi obiezioni che mi vengono fatte ogni volta che dico di essere una etiquette coach è: “ah ma allora tu sei una di quelle che insegni alle persone a comportarsi in modo falso!”. Posto il fatto che se “buone maniere” significa falsità io vorrei proprio vivere in un mondo più falso… è la sociologia stessa che ci insegna per prima che non facciamo che recitare una parte sempre e dappertutto. Perché la società è per definizione, un palco sul quale vanno in scena le nostre relazioni. Un esempio di questo è la Polite Fiction, altrimenti detta “finzione cortese”, ovvero lo scenario sociale in cui tutti i partecipanti sono consapevoli di una verità, ma fingono di credere a una versione alternativa degli eventi per evitare conflitti o imbarazzo.
Pensate di esserne esenti? In questo articolo parlo di cos’è la Polite Fiction e di cosa c’entra con il Galateo.
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Arte del quieto vivere o finzione di cortesia? Tutto quello che c’è da sapere sulla Polite Fiction
“Ciao cara! Come stai?”
“Tutto bene, grazie! E tu?”
“Tutto benissimo!”
Quante volte abbiamo recitato questo copione? Senza dubbio almeno una volta al giorno, se non di più. Questo scambio di battute è un classico esempio di “finzione di cortesia”.
Il termine Polite Fiction è stato usato per la prima volta nel 1953 dal sociologo Tom Burns per descrivere la dinamica sociale in cui parole o frasi che potrebbero essere scortesi, sgradevoli o offensive vengono sostituite da altre parole o frasi che, sia chi parla che chi ascolta, comprendono avere lo stesso significato. Ovvero: nell’esempio di prima, potrebbe essere una giornata storta ma se incontriamo qualcuno che ci chiede “come stai” siamo portati a rispondere “bene”. Perché lo facciamo, anche se sappiamo che l’altro è consapevole che stiamo mentendo?
– Evitare conflitti: ad esempio, rispondere sinceramente alla domanda potrebbe creare tensioni con il nostro interlocutore, quindi rispondiamo “bene” anche se siamo arrabbiati.
– Facilitare l’integrazione sociale: chiedere “come stai?” rafforza norme e convenzioni che permettono alle persone di interagire in modo prevedibile e rispettoso. Sappiamo già che ci risponderanno “bene” ma è comunque considerato un segno di attenzione per l’altro.
– Proteggere le proprie emozioni: potrebbe essere che non vogliamo raccontare ciò che proviamo perché i nostri sentimenti ci mettono a disagio. Allo stesso modo, potrebbe essere che vogliamo mantenere il tono della conversazione “leggero” evitando possibili imbarazzi con il nostro interlocutore.
Un altro modo di applicare la Polite Fiction riguarda il nostro body language. Ad esempio sorridere a chi ci sta accanto anche se non ne abbiamo motivo: lo facciamo per creare di riflesso un’atmosfera rilassata.
La Polite Fiction può riguardare anche dinamiche di gruppo. Quante volte i nostri colleghi hanno fatto commenti positivi dopo una nostra presentazione per evitare l’imbarazzo di ammettere che è andata male. E noi lo sappiamo… e gliene siamo grati.
Oppure pensiamo anche a dinamiche comunicative in presenza di bambini: quante volte abbiamo detto, ad esempio, che Babbo Natale esiste? Queste affermazioni di “insincerità” non sono fatte con l’intento di ferire il prossimo, ma di preservare uno status quo positivo all’interno delle nostre interazioni sociali. Si tratta solo di un ripiego per quieto vivere? È qui che entra in gioco il Galateo e ne parliamo di seguito.
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Galateo e Polite Fiction: c’è un nesso?
Come dico spesso, il galateo non è solo un insieme di regole rigide, ma un sistema che permette di facilitare le relazioni interpersonali e di gestire situazioni potenzialmente delicate o imbarazzanti. Detto in parole povere: saper stare al mondo.
In tal senso, la Polite Fiction è strettamente collegata alle norme di comportamento sociale, in quanto rappresenta uno strumento chiave per mantenere la cortesia, l’armonia e il rispetto nelle interazioni quotidiane.
Pensiamo al fenomeno dell’Elefante nella stanza. Un “Elefante nella stanza” è un argomento che è nella mente di tutti ma che i presenti evitano di esplicitare perché socialmente imbarazzante. Ad esempio una famiglia allargata che non menziona il recente divorzio durante il pranzo di Natale. Ed è per questo che esiste un vero e proprio decalogo di argomenti da evitare durante le riunioni familiari secondo il bon ton.
Lo stesso concetto corrisponde alla regola di galateo secondo la quale non si parla pubblicamente di questioni di salute… ed è proprio per questo che non si dice “salute” quando uno fa uno starnuto!
Se ci troviamo a tavola con una persona con evidenti problemi alimentari, sarebbe del tutto indelicato fare dei commenti su quanto sta mangiando o non mangiando. Ed è proprio per questo che esiste una regola di galateo che ci suggerisce di evitare di commentare l’aspetto fisico altrui.
Le regole di etiquette spesso includono comportamenti che rientrano nella Polite Fiction, come fingere di non vedere un ospite che arriva in ritardo per non metterlo in imbarazzo o fare commenti positivi su un regalo, anche se non è di proprio gusto. O come nel caso dell’inchino nella cultura giapponese. In Giappone, infatti, l’etiquette prevede di inchinarsi come segno di cortesia, umiltà e rispetto. Tutto questo, anche se non ci sono umiltà e rispetto nella reciproca relazione.
Tornando all’incipit iniziale, è vero che la “finzione di cortesia” e le regole di Galateo a essa connessa possono sembrare un comportamento ipocrita e falso. Tuttavia, io credo che non dovremmo mai sottovalutare i loro benefici: favorire il rispetto reciproco e un’atmosfera piacevole; aiutare a mantenere le relazioni sociali fluide, anche in presenza di divergenze; dimostrare sensibilità verso le emozioni e i bisogni degli altri.
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