Vi siete accorti che ci vestiamo tutti uguali?
Scommetto che anche voi quest’estate avete visto in giro tantissime borse di paglia tutte simili (magari tonde).
O un’invasione di vestitini con le spalle scoperte e i bordi in pizzo.
E una miriade di ragazzine con micro shorts e canottine quasi identiche, tutte comprate negli stessi negozi: Bershka, Pull&Bear, H&M, Zara e Mango.
Il fenomeno però non è limitato alle giovanissime (le quali, si sa, si vestono in modo simile anche per sottolineare l’appartenenza allo stesso gruppo). Pure le signore più grandicelle non gli sfuggono. Nell’ultima settimana, ho visto almeno cinque sciure con questo chemisier stampa “toile” di H&M.
Ovviamente, i retailer fast fashion giocano un ruolo di primo piano nella corrente omologazione del gusto. Perché rendono disponibili tantissimi esemplari degli stessi abiti online e offline in centinaia, anzi migliaia di negozi sparsi in tutto il mondo. E lo fanno a prezzi mediamente accessibili. Non c’è da meravigliarsi che poi sembriamo tutti dei cloni.
Ma il fast fashion non è – a mio avviso – l’unico responsabile di questo triste appiattimento estetico.
Per esempio: solo io ho notato che ultimamente anche i grandi brand (a cui il fast fashion evidentemente s’ispira) si copiano tra di loro a man bassa?
Basta fare un un giro in Montenapoleone (o in Bond Street, o Champs Elysees, o sulla Quinta) per scoprire che nelle diverse boutiques si trovano oggetti tutti tristemente simili.
Esempio del momento: le sneakers chunky (o come dico io, da benzinaio anni ’90).
Oppure quelle “a calzino”. Entrambe i modelli, lanciati un paio di anni fa da Balenciaga, oggi sono presenti nelle collezioni di tutti, ma proprio tutti i brand del lusso (esempio, esempio, esempio).
E non si tratta di un caso isolato.
I mules con fasce incrociate proposti da Gucci tre anni fa sono stati rifatti, praticamente identici, da molti altri marchi, pure dello stesso gruppo (vedi foto qui sotto, ma anche questi e questi).
Ma ci sono una miriade di altri esempi: il numero crescente di controversie tra brand per violazione del copyright e affini testimonia l’attualità del problema.
Ma, a mio avviso, c’è anche un ulteriore elemento da prendere in considerazione.
Perché non si tratta solo di uniformità del prodotto.
C’è anche un allineamento dei gusti.
Nella storia, il genere umano non ha mai avuto tanti abiti così a buon mercato come oggi.
E mai prima d’ora avevamo avuto accesso facile a un’infinità di spunti da persone di tutto il mondo.
Con queste premesse, a me stupisce vedere quanto – nonostante tutto – ci vestiamo tutti uguali.
Io me ne accorgo moltissimo su Instagram.
Instagram, coi suoi contenuti 100% visuali, è in breve diventato il social preferito dalla moda.
Per me, dovrebbe essere una finestra da cui osservare la meravigliosa unicità delle persone (e dei loro stili).
Eppure le foto del feed spesso mi causano una certa sensazione di dejà vu.
Mi consolo pensando che sono la sola ad avere questo problema.
L’account @Insta_repeat è impegnato a postare gli scatti fatti dai turisti nella sua terra, l’Alaska.
Anche quelli, sono tutti drammaticamente uguali.
Pensateci: quante foto di unicorni e fenicotteri gonfiabili avete visto quest’estate?
Ecco, con gli abiti funziona esattamente allo stesso modo.
Nella moda, come su Instagram, copiare evidentemente funziona.
Cover Ph. Toufic Araman