[Ovvero: perché se sento dire “un altro pezzo del Made in Italy che se ne va” sbrocco]
La moda per l’Italia è un grosso business.
Noi Italiani siamo geniali, visionari e creativi.
E siamo pure bravi imprenditori eh?
La storia del nostro paese è piena di imprenditori geniali.
Le nostre imprese, però, hanno un piccolo problema.
Sono gestite da un imprenditore visionario, sì, ma che – in genere – governa democraticamente come il Re Sole.
E come per il Re Sole, e dopo di lui, il diluvio.
Non è un caso se tantissime aziende del Bel paese non sopravvivono ai cambi generazionali: perché sono monarchie assolute dove tutto ruota attorno alla personalità – carismatica finché si vuole, ma sempre singolare – del fondatore.
Noi Italiani siamo geniali, abbiamo stile, siamo bravissimi a fare le cuciture. Ma siamo anche dei maledetti individualisti, incapaci di fare squadra e di creare realtà strutturate.
Ne consegue che le aziende non le sappiamo gestire.
E soprattutto non sappiamo gestire né organizzare aziende manageriali, strutturate, che siano in grado di imporsi in un mercato (quello del lusso) che da ormai vent’anni si sta il concentrando attorno a pochi player di enormi dimensioni.
Così arrivano gli americani, i cinesi, i francesi e gli arabi. Che sono un po’ meno creativi, un po’ meno visionari, ma di sicuro più organizzati. E comprano le nostre aziende un pezzo alla volta, come se stessero ai saldi della Rinascente.
Come dice un vecchio adagio, chi è causa del suo mal pianga se stesso.
Detto questo, vivete sereni: la produzione Made in Italy rimane in Italia, non scappa mica. (pure quando a farlo, il famoso Made in Italy, sono i famosi cinesi di prato).
Noi continueremo a fare le cuciture, a tagliare le pelli e ad attaccare i bottoni.
Utili e dividendi invece, quelli sì che andranno altrove.