Mi chiedo perché le case di moda si limitino a parlare per comunicati stampa.
Le press release, sia chiaro, sono utilissime. Ma sono pensate, lo dice il nome, per la stampa.
Io capisco che con quello che costano, questi benedetti comunicati debbano essere sfruttati al massimo (perché non dimentichiamo che nella maggioranza dei casi vengono fatti redigere, dietro lauto compenso, da giornalisti più o meno blasonati).
Ma usare una press release per raccontarsi nella sezione experience di un sito o nel blog aziendale – e cioè proprio dove ci si aspetta di scoprire la voce autentica e la personalità del brand – dimostra scarsa fantasia e nessuna conoscenza delle dinamiche del web.
Per fare un paragone che i modaioli capiranno, sarebbe come pretendere di sfruttare la borsa di coccodrillo a una cena black tie, solo perché si tratta di un accessorio costoso. Un crimine che andrebbe punito con il confino a vita in un outlet Oviesse.
La comunicazione sul web segue regole proprie, ben diverse da quelle della carta stampata, e ancora più distanti dalle dinamiche che regolano la stesura di un comunicato. Non saperlo è inammissibile, per chi in comunicazione e promozione spende gran parte dei propri quattrini, e far finta che non importi mi sembra un atto di sciocca superbia. A maggior ragione se parliamo di fashion.
Perché la moda è fatta, prima ancora che di prodotti, di sogni e storie.
E usare un anonimo comunicato vuol dire rinunciare a priori alla possibilità di raccontarsi.
Certo, creare contenuti ad hoc è una fatica, e sicuramente anche un costo. Diciamo pure che è il prezzo della credibilità.
Le foto di questo post sono tratte dal servizio Alice in Wonderland di Anne Leibovitz per Vogue America 12 2003