Massimo un minuto per catturare l’attenzione dell’interlocutore e lasciare un ricordo memorabile del breve incontro. L’elevator pitch è una breve auto presentazione che, come suggerisce il termine inglese “discorso da ascensore” dovrebbe svolgersi nella durata di una corsa in ascensore. In ambito business, infatti, l’autopresentazione è ben accetta, ed è uno strumento indispensabile per fare networking, per conoscere nuove persone e – in sostanza – per ampliare la propria rete di contatti.
Che cos’è l’elevator pitch
L’elevator pitch è un discorso con cui ci si introduce in modo efficace, ma conciso, spiegando a grande linee il proprio lavoro. Ogni professionista dovrebbe averne uno pronto, come il biglietto da visita.
Un buon elevator pitch utilizza un linguaggio positivo e il più naturale possibile: guai ai discorsi che sembrano (o sono?) imparati a memoria. L’ideale, secondo me, è avere due/tre/quattro frasi di riferimento (quelle sì imparate a memoria) da adattare e inserire in un discorso che cambierà di volta in volta.
Il linguaggio deve essere chiaro e diretto, per essere immediatamente comprensibile da tutti: discorsi infarciti di tecnicismi e parole inglesi (spesso buttate lì un po’ caso) rischiano di farci passare per spocchiosi, di intimorire l’interlocutore o di fargli perdere l’attenzione.
Gli elevator pitch più furbi sono quelli che mettono, da subito, in luce i punti forti e la personalità di chi si sta presentando. Una cosa invece a cui prestare grande attenzione è non trasformare subito l’elevator pitch in una vendita: lo scopo è attirare interesse, non concludere affari – almeno in questa fase.
La durata del pitch ideale dovrebbe essere di circa 30-60 secondi: arrivare preparati è dunque fondamentale.
Come costruire un buon elevator pitch
Da che cosa si parte? Dire il proprio nome è certamente un buon inizio, ma potrebbe essere anche …la fine! Ciascuno si gioca come preferisce le quattro battute concesse dall’elevator pitch. Una buona strategia potrebbe essere aprire con una frase a effetto come “La mia missione è svecchiare il galateo” e solo in un secondo momento rivelare il proprio nome.
Un altro elemento importante da menzionare è il proprio ruolo aziendale: il nome dell’azienda per cui si lavora e il nostro job title indirizzano subito l’interlocutore, e gli consentono di orientarsi. Art director in agenzia o controller in una multinazionale sono ambiti ben definiti.
Ora il cuore del discorso, ovvero che cosa si vuole comunicare della propria attività. Per essere efficace l’elevator pitch deve comunicare in modo chiaro e coinciso la nostra “unique selling proposition” ovvero quelle caratteristiche che – a parità di hard skill e job title – ci rendono diversi da tutti gli altri. E qui il mio suggerimento è molto semplice: oltre a raccontare quali sono le proprie mansioni, è fondamentale esprimere anche il proprio “why” ovvero la motivazione che ci spinge a fare il lavoro che facciamo. Per esempio, nel mio caso, “La mia missione è svecchiare il galateo perché sono convinta che le buone maniere salveranno il mondo”.
Se in poche battute si riesce a comunicare la propria unicità, l’elevator pitch sarà un successo: lo scopo di queste battute non è raccontare tutto di sé, ma incuriosire e impressionare (favorevolmente) l’altro, in modo da aprire la porta per una conversazione più approfondita…
Oppure per un contatto futuro.
Tips&Tricks
In alcuni contesti l’elevator pitch può prolungarsi e diventare una conversazione.
In questo caso, è bene non farsi trovare impreparati: si può raccontare una case history per calare nel concreto ciò che si è appena raccontato nella teoria.
Utile anche prevedere le possibili domande che la presentazione può suscitare, ed avere pronte delle risposte efficaci e chiare.
Infine il mio consiglio è esercitarsi, esercitarsi ed esercitarsi ancora! Come in molti aspetti del bon ton, metà lo fa la conoscenza, ma l’altra metà lo fa l’esercizio.
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