Se io dico Tiffany tu cosa pensi?
Lusso, diamanti e Audrey Hepburn, scommetto.
Io invece penso salumeria. E adesso ti spiego perché.
Recentemente sono stata nella boutique che il marchio ha in via Spiga.
Speravo Pensavo di cavarmela in dieci minuti, ma sbagliavo.
Arrivo in negozio e trovo la fila. No, non una persona davanti a me: ce n’erano almeno venti.
(Perchè sì, Tiffany sarà anche famoso per i diamanti, ma in realtà il grosso delle vendite riguardano catenine, braccialetti e altre cosucce d’argento.)
Turisti, ragazze adolescenti, mamme con figlie in attesa mentre le due venditrici, imperturbabili, mettevano in scena ogni volta il pomposo cerimoniale di vendita imparato a memoria durante le ore di formazione.
Peccato che invece di essere in una boutique di lusso, sembrasse di stare in coda in salumeria.
Morale della favola: nell’attesa di oltre un’ora sono passata dalla noia, alla frustrazione all’odio.
Soprattutto perchè, arrivato il mio turno, ho scoperto che quel che cercavo era in vendita al piano di sotto, dove ovviamente non c’era l’ombra di nessuno.
Avevo già parlato del “lusso democratico” dicendo che, in fondo, non lo considero un male di per sè.
Dopo quest’esperienza, mi sento di aggiungere: a condizione che la shopping experience non ne risenta.
Perché è proprio un peccato quando chi dovrebbe venderti un sogno ti fa vivere un vero incubo.