Ero a Parigi ieri sera.
Venivo da una giornata pesante, fatta di aerei, taxi, meeting impegnativi con persone molto esigenti. Camminavo sotto la pioggia su Saint Germain, per incontrare un’amica a cena.
D’un tratto, nell’ombra tra due vetrine, ho visto una famiglia: mamma, papà e due bambini, che avranno avuto quattro e sei anni, forse. In un anfratto un po’ riparato, tra i negozi belli di quel quartiere, loro si preparavano per la notte, stendendo coperte e cartoni per terra.
Rientrando, non so bene perché, sono ripassata di lì, per vedere se c’erano ancora.
Erano passate le undici, e dormivano tutti: i genitori raggomitolati e i bimbi di traverso, come dormono sempre i bambini, tutti scomposti e arruffati, presi da chissà quali sogni.
A me si è spezzato il cuore. Avrei voluto abbracciare quei piccoli, dare loro la mia stanza in albergo e portarli il giorno dopo su quella giostra che c’è di solito alle Tulieries.
Mi sono sentita impotente.
E sciocca, per le mie preoccupazioni da due lire, che nel quotidiano mi sembrano cose serie.
E anche adesso che sono di nuovo a casa, con la mia bimba che dorme di là nella sua cameretta-foresta-incantata, penso a quei bambini e mi viene da piangere.