Tornato prepotentemente alla ribalta per l’A/I 2018, l’animalier in realtà non è mai passato di moda.
Per tutto il ‘900, le stampe animalier – e in particolare quella leopardata – sono state una presenza costante nell’abbigliamento femminile, con alterne fortune. Il leopardato infatti è stato considerato ora elegante e raffinato (tanto da essere indossato da personcine come Jackie Kennedy e Grace Kelly), ora volgare, sfacciatamente sexy e addirittura trash.
(Ovviamente, io faccio il tifo per la versione numero uno).
Il significato della stampa animalier
Se consideriamo che, fin dalla preistoria, l’umanità ha usato le pelli degli animali uccisi per coprirsi, la fascinazione per l’animalier non può stupirci più di tanto. Nelle società primitive, si pensava che indossare la pelle di un certo animale avrebbe conferito alla persona le virtù associate a quella bestia. Così, indossare il manto di tigre avrebbe reso fieri e indomiti, la pelle del leone era simbolo di forza (tanto che nell’iconografia classica è un attributo di Eracle), e via dicendo.
Fin dall’antico Egitto, la pelle di leopardo è stata un ambito status symbol sia per la sua grande valenza decorativa – grazie alle famose macchie – sia per le doti associate all’animale (forza, velocità ed eleganza). A renderla ancora più esclusiva concorreva anche la rarità, dato che appartiene ad un animale esotico, notturno e molto difficile da cacciare.
Il leopardato nella moda donna
Nel ‘900, il maculato diventa di moda negli anni ’20, assieme all’art déco.
Sono gli anni in cui la Marchesa Casati gira per Venezia con un mantello di leopardo e due ghepardi al guinzaglio, come cagnolini. Un vezzo, questo, che sarà presto imitato da varie starlette di Hollywood. E sarà proprio la nascente industria del cinema a decretare il successo su scala globale dell’ animalier come sinonimo di uno stile di vita eccentrico, stravagante ed estremamente lussuoso. In questa chiave, la pelliccia maculata (sia tinta che autentica) viene usata sullo schermo e nei saloni di moda per tutti gli anni ’30 e anni ’40: oltre ai cappotti, è frequente ritrovarla in dettagli come bordure, colli in pelliccia e accessori.
La vera e propria consacrazione fashion dell’animalier avviene però nel 1947, quando Christian Dior trasforma la pelliccia maculata in un motivo stampato, e lo adopera per abiti da giorno e da sera.
Negli stessi anni, però di fianco al leopardato chic compare anche quello choc.
Merito (o colpa) di un fiorente filone di b-movies sexy ambientati in terre esotiche, e dell’apparizione di svariate pinup, tra cui Bettie Page e Jane Mansfield, in total look animalier.
Da questo momento, la stampa maculata sarà associata (anche) all’immagine della donna predatrice, fino ad arrivare alle cougar di oggi, che proprio dai ghepardi prendono il nome.
Negli anni ’50 e ’60 comunque, almeno nella moda “ufficiale”, l’animalier continua ad essere associato al lusso e all’esclusività. Un po’ come i trofei di caccia esposti nelle ville dei jet-setter a ricordare le loro dispendiose vacanze, in questi anni la moglie in pelliccia maculata è testimonia il successo sociale e professionale del marito.
È negli anni ’70 che si mescolano le carte. Nel 1975 il leopardo viene inserito tra le specie a rischio di estinzione, e la sua pelliccia maculata passa di moda. Non passa invece di moda la versione stampata del maculato, che è amata in questo periodo la sua valenza trasgressiva e predatoria. Non a caso, è adottata anche dal il movimento punk, che elabora il maculato (ma anche altri motivi come la stampa zebra) in colori innaturali e acidi.
La versione multicolor dell’animalier rimane confinata all’abbigliamento delle controculture: ma l‘associazione tra questa stampa e una donna trasgressiva e sessualmente libera rimane in voga per tutti gli anni ’80. A renderlo popolare in questa chiave sono Madonna e Debbie Harry: il leopardato è la versione rock’n’pop del powerdressing in voga in quel decennio.
Per il consueto avvicendarsi delle mode, negli anni ’90 il leopardato si riscopre lady-like.
A questo punto, è diventato un classico, e quasi un marchio di fabbrica per alcuni designer come Versace e Dolce&Gabbana.
Oggi la stampa maculata appare regolarmente sulle passerelle, dov’è usata ora per evocare femmine predatrici, ora per evocare un’atmosfera snob e rétro. Ma il leopardato è anche diventato un topos di certa biancheria sexy-dozzinale, come quella di Frederick’s of Hollywood e Victoria’s Secret.
L’AI 2018 non sfugge all’eterno ritorno del maculato (salutato ovviamente come un’imperdibile novità).
Questa stagione, vince l’omaggio agli anni ’80 con gli animalier dai colori innaturali di Tom Ford e Prada.
E poi, ovviamente il leopardato viene declinato secondo il mood eclettico-rétro di Alessandro Michele, che ispira oggi l’estetica di tre quarti del fashion business.
Il leopardato nella moda uomo
Il post è già lunghissimo, ma non posso chiuderlo senza un cenno all’animalier in chiave maschile.
Fin dall’antico egitto, la pelle di leopardo era indossata dagli alti sacerdoti in particolari occasioni, ed era connessa ai rituali per propiziare la rinascita nell’aldilà.
Nell’antica grecia ritroviamo il manto di questo felino, stavolta associato al culto di Dioniso. Di questa associazione rimane traccia nell’iconografia classica: il dio dell’ebbrezza compare spesso su un carro trainato da una coppia di leopardi oppure vestito con una pelle maculata.
È ovvio che nell’antichità il leopardato ha una funzione rituale, che poco ha a che vedere con l’abbigliamento quotidiano.
Dopo secoli di oblio, nel sei-settecento, la pelle di leopardo ricompare improvvisamente come elemento scenografico per la ritrattistica maschile. Adesso, troviamo il manto del felino drappeggiato sopra l’armatura, a simboleggiare il coraggio e la fierezza del nobiluomo rappresentato. Anche in questo caso, si tratta comunque di un escamotage scenico: dubito fortemente che in battaglia questi signori si presentassero così agghindati.
Per trovare la stampa animalier impiegata sul serio anche per l’uomo bisogna aspettare gli anni 60-70, e la Peacock Revolution. In questo periodo, i “pavoni” riportano in auge stampe e colori anche per il guardaroba maschile, che a partire dalla rivoluzione francese si era orientato su toni sobri e tinte spente.
In questo contesto, la stampa animalier riscopre la sua vocazione dionisiaca.
E viene indossata dai nuovi dei dell’ebbrezza: le rockstar, che negli anni ’70 e ’80 non temono di sfoggiarla anche in total look.
Negli ultimi anni, la stampa animalier viene proposta anche per l’uomo in chiave più o meno casual e quotidiana. Quest’inverno in particolare è OVUNQUE, da via Montenapolone a Zara, su camicie, pantaloni e anche giacche. Per me, comunque, rimane una cosa per coraggiosi.
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