Uno status symbol è un elemento caratteristico del look che ha la funzione di comunicare al mondo l’alto livello sociale (o il benessere economico) raggiunto dal fortunato proprietario.
Origine dello status symbol
Naturalmente, da che mondo è mondo, ci sono sempre stati oggetti preziosi destinati esclusivamente all’elite.
E, fin dall’epoca romana, il loro uso – soprattutto nell’abbigliamento – è stato regolato da apposite norme.
Le leggi suntuarie, per secoli, hanno decretato chi poteva indossare cosa.
Nella Firenze del ‘400, per esempio, Cosimo de’ Medici legifera contro gli eccessi del lusso, e decide chi può indossare guarnizioni in pelliccia e chi no, a chi spetta vestire di tela e chi di broccato, quanto grandi possano essere i ricami sul tessuto.
Direttive come queste erano all’ordine del giorno in tutta Europa, ma anche in oriente, per tutta l’antichità e fino a tempi piuttosto recenti, visto che sono state abolite solo in seguito alla Rivoluzione Francese del 1789.
Significato dello Status Symbol
Dopo la caduta dell’ancien régime, le persone si trovano libere di acquistare e indossare quello che vogliono. Proprio negli stessi anni, intanto, sta nascendo una nuova elite sociale: la rivoluzione industriale ha creato ingenti fortune, che fanno invariabilmente capo a dei borghesi.
Qual è il risultato?
Ce lo racconta, nel 1899, un sociologo di nome Veblen, nel suo saggio economico intitolato La Teoria della Classe Agiata.
Questo libro lo considero un po’ come l’atto di nascita dello status symbol, anche se non si chiama ancora così.
Analizzando i comportamenti dell’elite americana dell’epoca, Veblen usa il termine “conspicuous consumption” (=consumo vistoso) per definire, in maniera specifica, l’acquisto di beni finalizzati a rendere evidenti le differenze di status.
La teoria della classe agiata introduce però anche altri concetti interessanti, come quello di leisure class (= i nuovi ricchi, contrapposti all’aristocrazia), di consumo aspirazionale e analisi sul ruolo sociale dell’abbigliamento…
Tutti elementi indispensabili per capire i meccanismi psicologici che stanno alla base della società dei consumi che prende piede nel ‘900.
L’età d’oro degli Status Symbol
E, senza sorpresa, è proprio nella seconda metà del XX secolo– quando la società dei consumi entra nella sua fase matura – che lo Status Symbol ha il suo massimo momento di gloria.
Negli anni ’80 in particolare, la cultura dell’apparire un po’ sfacciata e la celebrazione del successo personale decretano l’ubiquità dello Status Symbol. Il rolex (d’oro) del papà, la pelliccia (di visone) della mamma, gli stivaletti timberland del figlio, il moncler della figlia. In quest’epoca ognuno ha il suo feticcio, grazie anche allo sviluppo del mercato del lusso globale. E ci sono abiti e accessori che si indossano come un biglietto da visita per dichiarare, senza bisogno di parlare, la propria appartenenza a questa o a quella tribù.
Dagli anni ’90, i brand della moda e del lusso – che sempre più si stanno strutturando come multinazionali – cavalcano quest’onda. E allargano sempre di più l’offerta e dando via al fenomeno del lusso di massa…
Ma questa è un’altra storia.
Gli Status Symbol contemporanei
Il fatto è che la democratizzazione del lusso ha reso decisamente meno appetibili tantissime cose che fino a ieri, invece, rappresentavano indiscutibilmente dei lussi.
Il lusso è stato banalizzato.
I nomi dei maestri della couture stanno su zainetti coi patch e ciabatte che sembrano rubate in un motel. I brand di alta moda firmano qualunque cosa, dalle playlist ai preservativi, tanto alla fine vendono sneakers, qualche borsa e bomber.
Aggiungiamo anche che, con la sharing economy, tutto è diventato molto più accessibile. Online si può noleggiare praticamente tutto, dalla borsa di Chanel, al jet privato, allo chef.
Per queste ed altre ragioni, le “cose” hanno perso appeal.
Gli stili di vita – o comunque altri intangibili – sono i veri Status Symbol del nostro tempo.
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Le immagini di apertura e chiusura sono della campagna Dom Pérignon Rosé ph.Karl Lagerfeld