Siamo in piena Fashion Week, e anche se a me la moda interessa sempre meno, mi piace il focus sulla sostenibilità che contrassegna questa edizione delle sfilate milanesi.
Nei tanti anni che ho passato lavorando per le maison del lusso, ho scoperto che pratiche incredibili (come quella di bruciare l’overstock) erano di uso comune.
Quello che ho visto dietro le quinte in più occasioni mi ha fatto riflettere sul tema dell’impatto (ambientale, ma anche sociale) dell’industry di cui faccio parte.
La verità è che spesso il tema della Sostenibilità è usato come uno strumento di marketing.
(E nascono paradossi come questo)
Perché l’essenza della moda è l’esatto opposto della filosofia green.
E infatti, l’industria della moda è una delle più inquinanti al mondo (ne avevo parlato qui). E come se non bastasse, il Fashion Business è pure in cima alla lista nera per il ricorso alla schiavitù contemporanea.
Quindi forse è il caso di farsi due domande.
Visto però che nella vita è sempre necessario scendere a compromessi, ho messo insieme alcune cose che faccio per indulgere nella mia passione senza sporcarmi troppo la coscienza…
Vademecum della moda sostenibile
- Vintage. Il mio primo amore di gioventù tra i suoi tanti pregi, ha anche quello di essere green. Non ci pensavo minimamente quando ho cominciato a bazzicare i mercatini, ma oggi è una caratteristica che apprezzo moltissimo
- Second Hand. Grazie alle app come Depop e ai posti tipo Bivio Milano, comprare di seconda mano è una strada facile, economico e pure divertente.
Ovviamente, vale anche al contrario: e quindi vendere i capi in buone condizioni che non si usano più - Comprare Local. Tranne rari casi, preferisco evitare le catene di fast fashion perché non condivido il loro modello di business. E trovo che gli acquisti fatti in negozi indipendenti, nei mercati, oppure online su Etsy e simili siano molto più piacevoli
- Attenzione ai tessuti. I sintetici sono stati una benedizione (pensate a qualunque capo tecnico) ma stanno diventando un problema nella moda. Le fibre artificiali sono difficili da smaltire, e rilasciano microplastiche ad ogni lavaggio. Meglio evitarle, per quanto possibile
- Poco ma buono. A ogni stagione vorremmo tutti comprare tutto. E il fast fashion rende qualunque desiderio piuttosto accessibile. Ma ricordiamoci che dietro ai capi low cost c’è un prezzo che non siamo noi a pagare. Quindi va bene, concediamoci pure qualcosa… Ma senza farci prendere dalla bulimia degli acquisti. Tanto la prossima collezione è già dietro l’angolo.
- Occhio ai lavaggi. Non sto dicendo di andare in giro con gli abiti sporchi, ci mancherebbe. Ma essere consapevoli dell’impatto ambientale di una pulitura a secco mi pare doveroso. Così come evitare i lavaggi eccessivi, quelli ad alte temperature, e regolare la quantità di detersivo, scegliendone uno con pochi tensioattivi
- Regalare. Liberarsi del superfluo diventa (quasi) piacevole se sai che le cose di cui ti liberi saranno utili per qualcuno. E no, no non voglio evocare scene tragiche, tipo donare le calze di lana alla piccola fiammiferaia. Penso semplicemente ai pacchi di body taglia sei mesi, che mi fanno tenerezza – ma mio figlio ormai ha due anni… Mentre la mia amica ha una bambina appena nata. Ovvio che non sempre abbiamo sottomano il destinatario perfetto. Questo, su Facebook esistono gruppi appositi, come Te lo regalo se vieni a prenderlo
- Avere una sarta (e un calzolaio) sono cose che aiutano a ri-pensare i capi in un’ottica che non sia usa-e-getta. Modificare e aggiustare gli abiti rende i capi unicamente “nostri” e ne prolungano la vita
- Leggere le etichette. Oltre che a tenere d’occhio la composizione dei tessuti, vedere da dove proviene un capo può dirci tanto delle condizioni di lavoro di chi l’ha prodotto. I vari Made in Bangladesh, Vietnam, Indonesia Marocco eccetera dovrebbero mettere in guardia: nei paesi in via di sviluppo lo sfruttamento della manodopera è una pratica diffusaTi è piaciuto questo post? Seguimi anche sulla mia pagina Facebook e su Instagram 🙂
La foto in apertura è di HarmonyLynnPhotography. Le immagini del post vengono da Unsplash.