Lo scorso weekend, Victoria’s Secret ha inaugurato a Roma il suo primo store di lingerie in Italia.
E a me viene da chiedermi: ma ne avevamo davvero bisogno?
La crisi di Victoria’s Secret
Non è un mistero che il brand degli angeli non goda di ottima salute, ultimamente.
E non solo per le performance deludenti del marchio, che trascinano al ribasso il valore della casa madre L Brands in borsa. Quest’anno, la tradizionale sfilata con gli angeli ha scatenato una bufera, dopo le infelici dichiarazioni rilasciate dal capo del marketing, Ed Razek, a margine dello show.
Nel corso dell’intervista a Vogue, il signore ha candidamente ammesso che modelle plus-size o transessuali non fanno parte dell’immaginario del marchio, e che non è previsto inserirle nelle prossime sfilate.
[Il che, a mio avviso è del tutto legittimo: ognuno ha il diritto di decidere se proporsi come eslcusivo o inclusivo, e di decidere chi è il proprio target e chi no. Magari io non condivido la tua scelta, ma chi sono per dirti cosa devi fare col tuo brand?].
Tuttavia – com’era facile aspettarsi – una dichiarazione così tranchant, in un momento in cui “inclusività” è il nuovo mantra, non è stata accolta con favore/ per usare un eufemismo.
La protesta, as usual, ha preso il via sui social. Ma rapidamente si è estesa anche off-line, con iniziative di vario tipo, dal “Diverse Catwalk” organizzato dalla top model Robyn Lawley al flashmob di Londra dei giorni scorsi, che ha visto donne di tutte le forme e tutte le età spogliarsi in mezzo alla strada.
Folklore a parte, le conseguenze per Victoria’s Secret sono state serie.
Pochi giorni dopo la pubblicazione dell’intervista, e nonostante le pubbliche scuse del management, Jan Singer, CEO del marchio, ha rassegnato le dimissioni.
Intanto, il sentiment negativo nei confronti si è riflesso in un drastico calo di ascolti il 2 Dicembre, quando il Fashion Show 2018 è stato trasmesso dall’emittente ABC.
La sfilata di Victoria’s Secret, dalla prima edizione del 2001, è stata l’evento di moda più seguito in assoluto sul piccolo schermo. Ma gli spettatori da qualche anno stanno diminuendo vertiginosamente: dai
quasi dieci milioni del 2013, siamo arrivati oggi a poco più di tre.
Il sesso (non) vende
Molti hanno attribuito le recenti difficoltà di Victoria’s Secret alla sua immagine poco contemporanea, fatta di modelle ultra-sexy, prevalentemente bianche e rigorosamente giovani e magrissime.
Il marchio è stato accusato – ancora prima della recente querelle- di proporre modelli irrealistici e poco salutari. Su internet, circola il programma della dieta seguita dagli angeli per prepararsi alla sfilata, che negli ultimi giorni prevede training quotidiano + solo liquidi.
Negli ultimi anni, inoltre, la nascita del movimento #metoo, il risveglio femminista ma anche l’emergere di altre culture (vedi moda modesta) hanno ulteriormente messo in discussione il modello “panterona”, su cui Victoria’s Secret ha basato tutto il sui business. E per quanto si possa essere femministe anche indossando una guêpiere di swarovski, negli ultimi anni la moda donna (lingerie compresa) si è orientata sempre maggiormente verso la funzionalità e lo sportswear, . Victoria’s non ha saputo cogliere questo trend, e ha continuato a proporre i bustini con le stecche, mentre i competitor vendevano reggiseni destrutturati (le famose bralette) come il pane.
Il vero problema
Sebbene concordi in larga parte con tutte queste analisi, secondo me c’è anche un altro aspetto di cui nessuno parla, ma che secondo incide molto sulle correnti difficoltà di Victoria’s Secret.
Il fatto è che il prodotto è tremendo.
Ricordo ancora con un certo disagio quella volta che a New York, incuriosita da tutto il battage sugli angeli, ho deciso di andare a curiosare in negozio.
Non partivo con grandi aspettative, eppure sono rimasta lo stesso delusa: ho trovato il regno del poliestere, l’impero del pizzo dozzinale e delle stampe da quattro soldi.
Cara Victoria, tu fai uno show milionario, arruoli decine di top model strafighe per la tua passerella, come contorno chiami a cantare artisti famosi, fai sfilare reggiseni fatti di diamanti.
In negozio però si trova solo monnezza.
La gente così si sente presa in giro.
Va bene la comunicazione aspirazionale.
È vero che il marketing deve raccontare storie.
Ma non puoi pensare di campare a lungo se dici troppe bugie.