In questi giorni, il BusinessofFashion sta ri-proponendo le top stories del 2013.
E tra queste, oggi è apparsa nel mio feed quella dedicata alle Fashion Sweatshirts.
Il fenomeno delle felpe firmate dagli über-designer è letteralmente esploso quest’anno (Tisci, anyone?) e il sempre ottimo BoF ci ha dedicato una feature con tutti i crismi, in cui si spiegano in maniera ineccepibile le ragioni di questo successo.
La felpa conviene ai brand (produzione facile ed economica), dà carta bianca al designer (inventati una stampa e voilà), piace al consumatore (è immediatamente riconoscibile, facile da abbinare e non dà problemi di vestibilità).
Con queste premesse, il successo sembra ovvio. Io invece tutta questa logica non ce la vedo.
Per due ragioni.
Innanzitutto, non mi spiego (e giuro, ci ho provato a capire, ma proprio non ci riesco) come una persona sana di mente possa decidere di spendere ottocento/mille euro per una felpa. Non si tratta di una questione di disponibilità economica, no e poi no: è proprio una questione di orgoglio, di amor proprio, di autostima.
Come è possibile accettare di pagare mille un capo che – è evidente- a produrlo costa venti, senza sentirsi un po’ scemi?
[Solo un caso posso comprendere: quello del neo-milionario cinese, che ha tanti soldi da non saper dove metterli, un altrettanto smisurato bisogno di affermare il suo nuovo status, ma non ha (ancora) i mezzi culturali per farlo. Ecco, lui lo giustifico.]
In secondo luogo sono dispiaciuta, perché considero la felpa l’anticristo della Moda.
E una banalissima felpa, sostenuta da una stampa pretenziosa mi sembra la quintessenza della forma senza sostanza, di prodotto facile da vendere a tutti.
Insomma, per farla breve, queste fashion sweatshirts a me sembrano le massime icone di quella logica commerciale che sta trasformando le più blasonate Maison di Moda da venditrici di sogni a spacciatrici di fuffa.
Per me è uno spettacolo ben triste.
Questo articolo ha 2 commenti
Concordo in pieno!
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